“Ma Come Fanno i Marinai
a riconoscere le stelle
sempre uguali sempre quelle
all’Equatore e al Polo Nord”
Le parole poetiche di Dalla risuonano nella mia testa mentre mi interrogo su quali siano le qualità che possono rendere una persona capace di navigare il mare e di condurre una squadra verso una meta, magari difficile da raggiungere. Vado a rileggere uno studio condotto dal Korn Ferry Institute: ben 3 delle prime 4 competenze necessarie per i futuri top manager sono più legate alle relazioni fra persone che all’analizzare e interpretare dati, eventi o situazioni economico/politiche.
Le competenze necessarie per i futuri top manager sono: visione strategica, saper allineare l’execution alla visione, saper ispirare, e sapere assicurare che le persone siano “accountable”.
Non si tratta di considerare le capacità più tipicamente legate alla sfera del pensiero e razionale come irrilevanti o poco importanti, ma di abbracciare il fatto che esse siano sì necessarie, indispensabili, ma non sufficienti per condurre con successo un’azienda.
Vivere in un’epoca segnata dall’aumento esponenziale dell’utilizzo delle tecnologie a supporto della comunicazione e dell’organizzazione del lavoro fonda, in un modo ancor più solido, la convinzione che per portare risultati di business sia vitale avere accesso alle componenti più tipicamente relazionali del ruolo di leader.
È necessario potenziare la sfera relativa alle capacità di influenzamento degli altri, identificati non solo con i collaboratori, ma anche con i colleghi, i superiori e gli stakeholder in genere.
A questo proposito, qualche tempo fa ho letto un interessante articolo pubblicato da ilsole24 ore intitolato “Caro manager narciso e prevaricatore, il prossimo robot è per te”.
Lì si faceva riferimento ad una startup che si chiama B12 in cui gli operatori in carne ed ossa (designer, copywriter e client manager) sono coordinati da un robot! Al posto dei manager c’è un software che coordina decine di lavoratori. Il software identifica le persone disponibili in quel momento e più adatte per quel tipo di progetto, infine crea anche una gerarchia tra i diversi lavoratori per permettere a loro di dare e ricevere feedback.
Che cosa significherà, perciò, essere leader nel futuro?
Che cosa si intenderà con la frase “avere un ruolo di leadership” se la componente più connessa alla gestione dei carichi di lavoro e l’affidamento dei compiti (cha ad oggi costituisce un’importante fetta della job description dei capi) diventerà automatizzata? E ad oggi, in cui ci troviamo in una situazione nella quale non si è ancora definitivamente realizzato quello che Otto Sharmer definisce “il futuro emergente”, che cosa distingue un capo, da un leader, da un influenzatore?
Oggi ha sempre meno senso parlare di leadership in termini tradizionali e diventa sempre più strategico parlare di influenzamento; in linea con il concetto di leadership diffusa che diventa lo stile di leadership fondante le organizzazioni Teal (di cui parla la nuova pietra miliare dell’organizzazione aziendale “reinventare le organizzazioni” di Fredric Laloux).
Come scrivono gli autori di The Leadership Challenge “la leadership è una relazione tra colui che aspira ad essere leader e coloro che scelgono di seguirlo”.
Il punto di vista di Logosme rispetto alla capacità delle persone di portare risultati di successo all’interno della vita organizzativa – in uno scenario che viene definito VUCA (caratterizzato, cioè da volatilità, incertezza, complessità e ambiguità) – parte dall’accento sulla consapevolezza personale rispetto al potere influenzante, passa dall’analisi dei ruoli reciproci e punta all’allineamento della visione con le azioni. In sostanza, un percorso che porta all’empowerment della leadership, attraverso l’agire in modo consapevole relazioni influenzanti.
Fonti
Teoria U, I fondamentali, C. Otto Scharmer
Reinventare le organizzazioni, Frederic Laloux