Comprendere la fiducia
“Cerco un centro di gravità permanente” – Il ritornello di questa epica canzone di Battiato mi rimanda alla ricerca di un punto saldo, di certezze, di sicurezze per potermi fidare.
Non mi è mai stato chiaro se si tratta di fiducia in sé o negli altri; ma è immediata, per me, l’attivazione di un pensiero di affidamento.
Secondo Castelfranchi, uno dei più importanti ricercatori nell’ambito della psicologia cognitiva italiana e internazionale, la fiducia è un’emozione, una delle più importanti nel modulare e organizzare le relazioni sociali umane.
Ha una natura molto sfaccettata: un primo aspetto è rappresentato dalla predisposizione nei confronti degli altri; un secondo elemento è dato dalla decisione di affidarsi all’altro; un terzo è la componente di incertezza e accettazione del rischio.
Dare fiducia a qualcuno è un attestato di stima e, in quanto tale, c’è la possibilità che questa azione generi nell’altro una maggiore volontà di portare a termine quello che è lo scopo condiviso; addirittura potrebbe far nascere in lui la volontà di accrescere le proprie competenze pur di riuscirvi.
Per Echeverria, il padre del coaching ontologico/trasformazionale, la fiducia è il fondamento su cui si basano tutte le relazioni nelle quali non è agita la forza coercitiva (che sia fisica o psicologica); la relazione lavorativa, perché sia prosperosa e duratura nel tempo, è una di queste. Secondo lo studioso, una relazione di fiducia non esiste soltanto nei rapporti di tipo simmetrico (nel quale i ruoli agiti esercitano la medesima quantità di potere); è presente e necessaria anche fra ruoli reciproci asimmetrici (nei quali l’autorità di un ruolo – quindi il maggior potere – viene riconosciuta dall’altro proprio grazie all’attribuzione di fiducia al primo). Questa fiducia, può essere comunque sempre revocata nel caso in cui, per esempio, i patti non vengano rispettati.
La fiducia si basa su tre tipi diversi di giudizio: la sincerità (cioè, giudico l’altro o la situazione come autentica) la competenza (ritengo che l’altro abbia le capacità e l’autorevolezza necessaria per svolgere quel determinato lavoro o per emettere una determinata dichiarazione) e l’affidabilità (cioè il rispetto degli impegni presi).
Seguendo la costruzione di Echeverria, quindi, posso avere fiducia nell’altro perché il mio giudizio su di lui è positivo su tutti e tre gli elementi; ma posso decidere di dare fiducia a una persona anche sulla base di un solo elemento. Ad esempio so che la mia amica è una persona sincera e affidabile, ma non posso fidarmi di lei per cantare al mio matrimonio perché, nonostante sia molto intonata e abbia una bella voce, fino ad oggi ha gorgheggiato solo sotto la doccia.
Non solo psicologi e coach parlano di fiducia. La letteratura degli ultimi anni che si occupa di organizzazione, business e di leadership, affronta spesso la dicotomia controllo-fiducia.
D’altronde, non è più pensabile per un manager tenere tutto sotto controllo.
Di certo le tecnologie danno alle aziende e ai manager sempre più possibilità di avere dati, di analizzarli e quindi, in ultimo, di controllare … ma, dall’altro, la stessa evoluzione tecnologica consente, ad esempio, ai clienti di parlare liberamente di quel determinato prodotto sui social, di elogiare o dispregiare pubblicamente un marchio e, ai dipendenti, di lavorare in remoto, distanti dai propri pari e dai propri leader. Per un approfondimento su questo tema leggi larticolo “la leadership nell’era digitale“.
Per i manager si pone, dunque, in modo sempre più deciso il tema del giusto equilibrio fra controllo e fiducia, necessari per una delega efficace, per una gestione delle persone orientata al lavoro per obiettivi e non esclusivamente all’adempimento di compiti.
Come può un leader lavorare su questo equilibrio?
Dunque, diamo per scontato che le persone che lavorano in azienda con questo leader siano sincere e competenti da un punto di vista professionale, la componente di fiducia su cui il manager deve lavorare è perciò l’affidabilità; ovvero fondare una credenza funzionale che gli consenta di essere sicuro che gli altri porteranno avanti responsabilmente le azioni necessarie per raggiungere l’obiettivo concordato.
La costruzione del giusto equilibrio fra fiducia e controllo in azienda avviene, quindi, seguendo due percorsi: uno di tipo organizzativo (la selezione e la formazione che consentono di avere a bordo persone competenti e autentiche) e l’altro di tipo individuale (il lavoro sulle proprie credenze relative alla fiducia e alla sfiducia negli altri che possono rivelarsi limitanti nell’agire il ruolo di leader).
Ciò di cui le organizzazioni hanno bisogno è lavorare sullo sviluppo di leader che siano fiduciosi in sé nel perdere il controllo e sostenerli nel creare patti con collaboratori e stakeholder, in modo da costruire relazioni di fiducia.
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Parlo di fiducia e di patti con collaboratori e stakeholder anche in questo podcast.