E l’erba del vicino è davvero sempre più verde?
In un colloquio psicologico la comprensione e gestione delle emozioni è un nodo importante del percorso verso l’acquisizione di un nuovo equilibrio e benessere, soprattutto quando sono di difficile gestione e accettazione come la vergogna, il senso di colpa o l’invidia.
Affermazioni del genere mi capitano frequentemente in terapia:
“Sa dottoressa, è ignobile quello che sento e provo per quella persona e per la sua fortuna, mi sento un essere spregevole, ma allo stesso tempo non riesco a provare altro che invidia. come posso fare?”
E più la persona prova ad eliminare, allontanare questo sentimento è più ingaggia una lotta con sè stesso, aumentando il carico di disagio e sofferenza personale. Ma cosa proviamo quando siamo invidiosi e come si manifesta in noi l’invidia? Perché diciamocelo, tutti noi abbiamo provato e proviamo invidia.
IL PENSIERO DELL’INVIDIOSO
Si può invidiare il cielo per il suo blu? Forse. Sicuramente si può invidiare il vicino per il verde del suo prato.
“Ancora quel giardino verde e perfettamente falciato, nemmeno un po’ di erba ingiallita. Lo fa apposta a curarlo così, solo per dimostrare a tutti che lui è capace e noi siamo degli incapaci. Ma io non gli credo, lo so che lo fa curare da un giardiniere. Quanto vorrei vedere quel giardino giallo e secco.”
E allora l’invidioso diventa ostile, prova disgusto, rabbia impotente, inferiorità e desiderio di nuocere.
COSA SUCCEDE NEL CORPO DI UN INVIDIOSO
Le attivazioni somatiche dell’invidioso derivano in parte dalla rabbia, in parte dal senso di impotenza. Il corpo viene frenato, bloccato, diventa freddo, rigido e si ripiega perchè la rabbia diventa subito impotenza e disgusto. Le espressioni facciali tipiche sono caratterizzate dall’irrigidimento delle labbra, la corrugazione della fronte e lo sguardo tenuto basso, oppure obliquo, oppure diretto ma sfuggente.
Ma cosa vuole l’invidioso, qual’è il suo scopo? Avere l’oggetto desiderato o danneggiarlo? O danneggiare il suo possessore? Lo scopo dell’invidia è danneggiare. Ma non essendo un’emozione attiva, più che il male è il malanimo o il malocchio. Ovvero un occhio invidioso che guarda quello che non ha e lo vuole rovinare.
A COSA SERVE L’INVIDIA?
L’invidia svolge una funzione di regolazione nei rapporti interpersonali e gruppali. La persona invidiata è quella che ha l’oggetto che gli altri vogliono, e sa che il malanimo è nocivo, quindi tende ad attivare meccanismi “anti invidia” atti a stimolare la compartecipazione per ridimensionare il divario e ristabilire il rapporto con chi ha di meno. Un esempio di questi meccanismi di compartecipazione sono le donazioni dei facoltosi ad enti di beneficenza. L’invidioso sa che non avrà l’approvazione sociale se esterna in modo diretto la propria emozione, questo porta a sviluppare nelle società moderne modalità espressive dell’invidia alternative e più socialmente accettate quali la satira, l’ironia, lo sbeffeggio.
A livello individuale, segnala all’individuo la mancanza di qualcosa e indica un desiderio. Provare invidia è normale, come tutte le altre è un’emozione sana, che se ben elaborata si trasforma in spirito di emulazione (lui ce l’ha, impegnandomi posso riuscire ad averlo anch’io) che spinge a migliorarsi e a individuare nuove mete. Diventa patologica quando è l’unico modo di relazione e confronto con gli altri, direzionando il giudizio verso elementi di ingiustizia subita e squilibrio della distribuzione della fortuna.
IN TERAPIA
Nel percorso psicoterapico ad indirizzo cognitivo comportamentale, quando l’invidia diventa problematica, in linea molto generale (ognuno di noi ha la sua storia e le sue peculiarità che sono il nostro capitale umano e la nostra area di delicatezza e forza), è fondamentale lavorare insieme per riconoscere l’invidia, verso quale oggetto o chi si rivolge, come il corpo agisce, come ci fa stare provare invidia e come si inserisce nel sistema di scopi personali, credenze e aspettative riguardo a noi e al mondo. Successivamente si lavora sulle ripercussioni personali che l’invidia ha sul giudizio di sè, ridimensionando e contestualizzando l’emozione e infine, quanto appreso e compreso sulla nostra invidia diventa il punto di partenza dal quale creare nuove mete.
Semplifichiamo con qualche domanda relativa al nostro esempio di prima:
“Siamo davvero sicuri che l’erba del vicino è sempre più verde? E siamo sicuri che vorremmo che la nostra lo fosse altrettanto? E siamo certi di volerci impegnare come il vicino per renderla tale? E siamo certi che impegnandoci come fa lui, noi non riusciremmo a farla diventare così verde? E siamo sicuri che è proprio questo che ci renderebbe felici? E anche se non ci riuscissimo, sarebbe così terribile?”
Ma davvero è così importante per noi avere l’erba verde come quella del vicino?
Eliana Pellegrini